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Wall Street cade: torna lo «short»

di Vittorio Carlini

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9 ottobre 2008

Decoupling? No grazie. È una delle chiavi di lettura della convulsa giornata vissuta ieri dalle Borse sulle due sponde dell'Atlantico. Sarà pure vero che gli Usa, in futuro, potranno perdere la leadership nel mondo globale della finanza ma per adesso dettano il sentiment ai mercati. I listini del vecchio Continente, proprio a causa della timidezza di Wall Street, hanno di fatto snobbato il taglio coordinato dei tassi di molti istituti centrali, guidato da Fed e Bce. Tanto che le piazze europee hanno chiuso la seduta con l'ennesimo tonfo: Milano (S&P/Mib) ha perso il 5,7%; il Cac40 a Parigi ha ceduto 6,31%, il Dax tedesco il 5,88% e il Ftse100 londinese ha lasciato sul terreno il 5,28%. E New York? Dopo una seduta sull'ottovolante, con l'indice Vix sulla volatilità ai massimi storici (58 punti), l'S&P 500 ha chiuso in ribasso dell'1,13%; il Dow Jones ha perso il 2% mentre solo il Nasdaq si è salvato: +0,38%.

Alle 9.00 di ieri mattina, comunque, nelle piazze europee la seduta era partita tra mille ansie. Motivo? Il tonfo di Tokyo che, un'ora prima, aveva visto il Nikkei cadere del 9,4%, il peggiore crollo dal 1987 ad oggi. In avvio di contrattazioni numerose le sospensioni per eccesso di ribasso. A Milano, per esempio, UniCredit (-10% teorico), Saipem (-10%) e Tenaris (-10,5%) non riuscivano a entrare immediatamente in contrattazione. Le raffiche di rientri al continuo, e successive nuove sospensioni, si sono susseguite per tutta la mattinata. Una situazione negativa analoga a quella di altre Borse europee. Anche in quella Londra, dove il piano da 50 miliardi di sterline di Downing Street, per garantire capitale fresco alle otto principali banche del paese, avrebbe potuto indurre all'ottimismo.

Il sussulto è arrivato verso le 13.00, quando la Bce e la Fed hanno tagliato rispettivamente dal 4,25% al 3,75% e dal 2% all'1,5%, insieme ad altri istituti centrali, i tassi di riferimento. Sulla scia della notizia, l'S&P/Mib è balzato di quasi il 2%, mentre lo Stoxx 600 è salito di circa il 4%. «In un mercato come l'attuale - spiega Antonio Tognoli, head equity research di AbaxBank -, dove le quotazioni non sono più assolutamente legate ai fondamentali e la volatilità è alle stelle, è ovvio che l'effetto notizia venga amplificato». Cosìcché, le Borse si sono "aggrappate" alla mossa di politica monetaria. Ma l'entusiasmo è durato poco. New York, infatti, ha aperto in negativo, deprimendo ulteriormente tutti i listini europei che si sono avviati verso l'ennesimo capitombolo.

In Italia, il calo delle blue chip, è stato "guidato" da UniCredit che ha perso il 12,58%. Male, però, hanno fatto anche società di altri settori: Eni ha lasciato sul parterre il 9,7%, analogamente a Saipem che ha perso il 7,9%. «In questo caso - dice Tognoli - ha giocato il calo del prezzo del petrolio: il Wti è sceso su 89 dollari al barile». Sempre a Piazza Affari, forte calo dell'AllStar:- 5,6%. «È il segnale - dice Carlo Gentili, fondatore di Nextam - che neanche le pmi, in questo momento, resistono. La necessità di far fronte ai riscatti, di ricoprirsi obbliga gli investitori professionali a vendere anche titoli che, altrimenti, sarebbero mantenuti in portafoglio».

Diversa la storia, nel durante, per Wall Street che fino a pochi minuti dalla chiusura sembrava voler "credere" nel taglio dei tassi. Un'illusione: tra volumi in crescita, il Nyse ha virato verso il basso anche perché, secondo alcuni operatori, il mercato teme la fine del divieto globale sullo short prevista per oggi. Tanto che l'indice bancario ha perso l'1,2%. Tra i pochi in positivo: Bank of New York Mellon (+7,9%) e Well Fargo (+4,3%). Insomma, i problemi restano sul tappeto. Di più. La riduzione del costo del denaro non ha prodotto effetto sul mondo monetario: l'Euribor a tre mesi ha toccato il nuovo record a 5,393% dal 5,377 dell'altro ieri; e anche la scadenza sei mesi è salita a 5,438. Così, il mercato interbancario resta in tilt. «La questione era, ed è, la mancanza di fiducia tra le banche», spiega al Sole 24 Ore Joel Naroff, tra i consulenti economici più noti negli Usa. «Tutta questa liquidità non risolve il problema alla radice. Anche perché, il segnale mandato dalla Fed è ambivalente». Vale a dire? «È l'indizio del rallentamento dell'economia Usa che potrebbe zavorrare ulteriormente i listini». Tanto è vero che l'indice dei titoli dei consumi di base ha perso l'1%.

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